Chi è davvero Davide Barzan? Una figura borderline tra pubblico e privato, legalità e inganno, competenza e millanteria. A porsi la domanda sono stati Gaston Zama e Marco Occhipinti de Le Iene, che martedì 15 aprile su Italia 1 tornano con un nuovo servizio ricco di documenti esclusivi per rispondere a un interrogativo che inquieta sempre più persone: chi è l’uomo che si presenta come consulente legale ed esperto in trasmissioni televisive, ma che secondo numerose testimonianze e atti giudiziari, avrebbe un passato tutt’altro che limpido?
Il primo capitolo dell’inchiesta parte da un fatto di cronaca nera: l’omicidio di Pierina Paganelli a Rimini, 29 coltellate nel garage di casa. Nel complesso intreccio di vicini, amanti e legami familiari, emerge anche il nome di Barzan, inizialmente coinvolto come consulente legale per entrambe le coppie protagoniste della vicenda: Loris e Manuela Bianchi, da una parte, e Louis Dassilva e Valeria Bartolucci dall’altra.
Proprio Bartolucci, intervistata da Zama, accusa apertamente Barzan di essersi spacciato per avvocato pur non essendo iscritto all’albo, e di aver suggerito – insieme all’investigatore privato Ezio Denti – una strategia difensiva tanto inquietante quanto illecita: far confessare il delitto a Dassilva, pur sapendolo innocente, per poi trovare un tossicodipendente disposto a prendersi la colpa dietro pagamento.
Alla domanda diretta dell’inviato, Barzan ammette: «Non sono avvocato, ma ho studiato diritto». E quando Zama gli chiede se sia almeno laureato, risponde di sì, senza però rivelare dove abbia conseguito il titolo. È l’inizio di una discesa vertiginosa, diventata virale anche grazie ai suoi strafalcioni linguistici – da “venghi” a “pubblico lubbrio” – difesi goffamente con il pretesto di una presunta teatralità.
Ma il passato di Barzan, scavato da Le Iene e confermato da documenti giudiziari, appare ancor più torbido. Tre testimoni – Vincenzo Cortese, Francesco Di Lauro e Vincenzo Iurillo – raccontano di essere stati truffati da lui tra Cosenza e l’Emilia-Romagna. Le accuse sono gravi: promesse di investimenti, ruoli professionali inesistenti, progetti mai concretizzati e oltre 50.000 euro svaniti nel nulla. Tutto costruito su un’immagine patinata: Ferrari 430 grigia, abiti eleganti, il racconto – mai dimostrato – di una vincita da 47 milioni al Superenalotto, e l’annuncio (anche questo infondato) dell’acquisto del Cosenza Calcio.
Quando le richieste di restituzione iniziano a farsi pressanti, Barzan ribalta la situazione e denuncia per estorsione gli ex “soci”. I tre vengono persino arrestati, ma poi assolti con formula piena: per il giudice, le accuse erano infondate. L’intero castello, come scrive la magistrata Renata Sessa, «avvalora la millanteria portata avanti da Barzan».
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